Il Governo è alle strette: arriva l’annuncio ufficiale, colpo durissimo per l’Esecutivo. Cambia tutto per i cittadini
La Corte Costituzionale ha appena dato un duro colpo al Governo e alla sua riforma sull’autonomia differenziata, sancendo una serie di modifiche fondamentali a quella che doveva essere una riforma epocale. Le quattro Regioni a guida centrosinistra – Campania, Puglia, Sardegna e Toscana – avevano impugnato la legge, e la Consulta ha accolto le loro istanze solo parzialmente, dichiarando illegittime ben sette disposizioni della legge Calderoli. In sostanza, se da un lato la Corte ha lasciato intatta l’idea di un’autonomia regionale differenziata, dall’altro ha limitato decisamente come questa possa concretizzarsi, con implicazioni che potrebbero cambiare radicalmente il volto dell’Italia nei prossimi anni.
L’autonomia differenziata è un concetto che affonda le radici nel principio di decentramento: la possibilità di trasferire alle singole Regioni alcune competenze, che finora erano esclusivamente dello Stato centrale. L’obiettivo dichiarato del Governo è quello di dare più potere decisionale alle Regioni su settori come istruzione, sanità e tutela dell’ambiente, in base alle specifiche esigenze locali. Ma se da un lato questo è visto come un passo verso una maggiore decentralizzazione, dall’altro solleva numerosi timori, soprattutto per quanto riguarda la disomogeneità dei servizi offerti in base alle capacità economiche di ciascuna Regione.
Autonomia differenziale, i 7 punti bocciati dalla Corte
Ecco i sette punti in cui la legge sull’autonomia differenziata è stata giudicata incostituzionale:
- Le materie: La Corte ha messo in discussione l’idea che si possano trasferire “intere materie” a una Regione senza una giustificazione adeguata. Il principio di sussidiarietà impone che si trasferiscano solo specifiche funzioni legislative e amministrative, e solo quando ciò è giustificato dalla realtà locale.
- La fonte: Un altro aspetto considerato problematico è la possibilità che il Governo stabilisca con un decreto i livelli essenziali di prestazione (LEP), senza il necessario coinvolgimento del Parlamento. Questo limita di fatto la democraticità della procedura e la possibilità di un ampio dibattito pubblico.
- La delega: La Corte ha bocciato anche l’idea di affidare al Governo la definizione dei LEP riguardanti diritti civili e sociali senza dare indicazioni precise su come questi debbano essere determinati. Un potere così ampio conferito senza criteri chiari potrebbe compromettere i diritti fondamentali dei cittadini.
- La spesa storica: La legge di bilancio 2023 prevedeva che la determinazione dei LEP si basasse sulla spesa storica delle Regioni. Questo meccanismo è stato giudicato problematico, in quanto rischia di penalizzare le Regioni più povere o con meno risorse, allontanandole ulteriormente dalla parità di trattamento.
- La solidarietà: La Corte ha ribadito che la solidarietà tra le Regioni non può essere una scelta opzionale. Il concetto di unità della Repubblica implica che tutte le Regioni contribuiscano agli obiettivi di finanza pubblica, garantendo così un’uguaglianza di trattamento tra i cittadini, a prescindere dalla loro residenza.
- I tributi: È stato escluso che una delega possa modificare le aliquote dei tributi per finanziare le funzioni trasferite alle Regioni, in modo che vengano premiate le Regioni più efficienti. Un simile sistema rischierebbe di favorire quelle meno efficienti, penalizzando i cittadini che vivono nelle Regioni meno in grado di gestire i fondi trasferiti.
- Le Regioni a Statuto speciale: La Corte ha anche sollevato dubbi sull’applicabilità dell’autonomia differenziata alle Regioni a Statuto speciale. Queste ultime, infatti, già dispongono di maggiore autonomia e, per ottenere ulteriori competenze, possono avvalersi delle procedure previste dai loro statuti. L’estensione indiscriminata dell’autonomia potrebbe portare a disparità di trattamento fra Regioni.
Cosa cambia per i cittadini dopo la Consulta
Per ora, la riforma dell’autonomia differenziata non va come previsto. Le sette disposizioni bocciate dalla Corte ridisegnano l’intero impianto della legge, portando con sé inevitabili conseguenze pratiche per i cittadini. In particolare, le Regioni si troveranno a fare i conti con un sistema che impone maggiori vincoli e controlli centrali, ma che allo stesso tempo lascia intravedere opportunità di autogoverno più ampie. Le modifiche imposte dalla Corte potrebbero infatti dare maggiore equilibrio al sistema, evitando che alcune aree del paese restino indietro rispetto alle altre.
La partita sull’autonomia è tutt’altro che conclusa. Se la riforma inizialmente sembrava un passo verso un’Italia più “federalista”, il parere della Consulta ci ricorda che c’è bisogno di maggiori tutele per la coesione nazionale e per i diritti di tutti i cittadini.